Passa, appena in tempo, l’approvazione dell’organo consiliare.
Dal 1° gennaio si partirà col nuovo contratto.
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L’Assemblea Capitolina ha approvato a maggioranza le linee
guida sulla base delle quali avverrà la stesura del nuovo contratto di servizio
di Atac. Sui contenuti, dei quali abbiamo già lungamente parlato, rimandiamo ad un nostro articolo precedente, lasciando a questa pagina qualche opinione personale.
Finalmente a 9 anni di distanza dall’ultimo accordo, siglato
sotto l’amministrazione di Ignazio Marino, Atac potrà contare su un contratto
congruo dopo 6 proroghe avvenute tra un difficile concordato preventivo e il
covid-19.
Un contratto che, benché necessario, è stato approvato in
fretta e in furia senza che ci fosse una reale condivisione dei contenuti con i
consiglieri capitolini, il cui ruolo è stato ridotto ad una mera espressione di
parere su documenti piuttosto cristallizzati. Uno scenario che si è verificato
sia nei confronti dei municipi, sia nei confronti dei consiglieri di
commissione, oltre che oggi in Assemblea Capitolina.
Ci piace pensare che questo contratto che avrà durata solo triennale
(rispetto al quadriennio originariamente previsto) sia un accordo “di
transizione” verso un’Atac che dovrà vedere costanti investimenti anche dopo il
Giubileo del 2025.
Auspichiamo, dunque, che il prossimo contratto di servizio
avrà una durata almeno decennale, al pari di altre realtà del Lazio (vedasi
Cotral, di durata 10 anni, e Trenitalia, per la quale il CdS va dal 2018 al
2032) e italiane, come il caso della blasonatissima ATM Milano. Solo con una
prospettiva di ampio respiro sarà possibile impostare correttamente gli
investimenti aziendali di lungo termine.
Altresì dovrà essere profondamente rivisto l’attuale sistema
di penali, trasposto immutato dal precedente contratto a quello di futura
approvazione, che vede Roma Capitale punire la propria stessa partecipata,
salvo doverla ricapitalizzare successivamente in un infinito circolo nevrotico
di crisi societarie. L’azienda pubblica è un bene pubblico e come tale va
salvaguardata: noi immaginiamo che le penali per il mancato servizio non vadano
attribuite all’ente, bensì ai dirigenti che devono essere in grado di guidare
la società.
Infine, ed è questo un nostro pallino sin dai tempi del covid,
il contratto di servizio deve essere di tipo gross-cost, per proteggere l’azienda
dalle fluttuazioni della domanda – e quindi del numero di biglietti venduti – che non è chiaro se tornerà mai ai valori pre-covid dopo l’introduzione massiva e
strutturale dello smart working.
Anche se non scevro da difetti, comunque speriamo che il
nuovo contratto di servizio entri in vigore dal 1° gennaio, per il bene di Roma,
dei romani e dei pellegrini.
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