Per Atac il bello viene ora. E non ci sono scorciatoie


L’errore più grande sarebbe pensare “è fatta”. E invece no, non è fatta neanche per sogno. Atac è sì, momentaneamente salva, ma da qui a parlare di camminare sulle sue gambe, un po’ come per Alitalia volare con le sue ali, ce ne vuole 



[ Radio Colonna ] Ieri la muncicipalizzata dei trasporti ha ottenuto l’ok dei giudici fallimentari al piano industriale allestito dal team del presidente Paolo Simioni e il sindaco Virginia Raggi, che di Atac è unico azionista ha twittato che ora l’azienda può essere risanata.

Eccolo il punto, il risanamento. Bisogna dire le cose come stanno. Il Tribunale ha nei fatti solo detto che sì, sulla carta, la strategia di salvataggio è sostenibile. 

Ma il debito astronomico da 1,4 miliardi rimane, i mezzi del “15-18”, come si dice a Roma anche (la gara per 350 bus è appena saltata) e la redditività continua a latitare. 

Tutto questo per dire che non è affatto improbabile che la muncipalizzata da qui a due anni si ritrovi con un nuovo piano industriale da presentare ai giudici, insomma ancora una volta con vista sul burrone.


Da qui alla fine del 2018 bisognerà rigare dritto, anche perché i giudici, in una procedura di concordato,  sono anche garanti dei bilanci. 

Simioni dovrà essere così abile da garantire contemporaneamente i rimborsi ai creditori (non ultimo al suo azionista Campidoglio) e reddito per sostenere gli investimenti sulla flotta.

E, ancora, iniziare a limare le perdite strutturali da 70 milioni (212 quella iscritta a bilancio nel 2016), se non altro per dare un barlume di speranza di rivedere l’utile, prima o poi. 

Senza considerare la lotta all’evasione sui ticket. Non una passeggiata. Il problema è che non c’è molta alternativa. O così o così. Senza scorciatoie.

Allora, per tornare al punto di partenza, il management impari dal passato. Quella del tribunale è solo una spintarella, il carburante ora ce lo deve mettere l’azienda. Se ne sarà in grado.


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